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Un caffè virtuale con Oscar di Montigny. La gratitudine è la rivoluzione necessaria.

Questa mattina, di ritorno dalla Francia, ci fermiamo virtualmente nella dinamicissima e possente Milano dove ci aspetta un ospite eccezionale che ringraziamo sin d’ora per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
Su cosa si fondava la nostra esistenza, non solo biologica ma anche economica, sociale, prima che il nostro sistema venisse resettato? Molto probabilmente su un concetto molto semplice, legato alle nostre radici animali: mors tua vita mea. E seppure non lo abbiamo messo in pratica volutamente, frenati da una coscienza superiore, abbiamo accettato compromessi tali da minare un equilibrio di sistema che, necessariamente, ha danneggiato la madre terra che ci ospita e molte persone che coabitano il nostro pianeta, destinandole ai margini di una società imperniata su un individualismo che non lasciava spazio all’inclusione. Era quella la normalità? Il lockdown imposto in questa pandemia ci ha permesso di riflettere su una vita personale, economica e sociale basata su un modello errato di sviluppo. Serve rivoluzionare il sistema attraverso un nuovo modo di approcciarsi all’economia e alla vita di ciascuno di noi e questo modello si basa sulla Gratitudine. E’ un argomento profondo che riesce a diventare collante per tutte le innumerevoli attività che svolgiamo all’interno del sistema economico e non solo. E’ la straordinaria rivoluzione possibile che ognuno di noi può mettere in atto per riformulare i parametri funzionali di un sistema che deve passare da inefficiente e divisivo ad efficace ed inclusivo. Attraverso il concetto di gratitudine possiamo creare benefici per noi stessi e per le imprese. Il tutto legato indissolubilmente alla sostenibilità, alla cooperazione ( che come leggeremo, non è semplicemente assenza di competizione) e a un paradigma composto da 7 P in grado di apportare effetti straordinariamente positivi a noi stessi e al sistema economico e sociale.
Affronteremo questo argomento così coinvolgente e speciale con un ospite di rango straordinario: Oscar di Montigny. Top manager di Banca Mediolanum, Keynote di successo, divulgatore e soprattutto autore di best sellers che hanno scosso le fondamenta del nostro pensiero.
Il suo ultimo libro dal titolo “Gratitudine. La rivoluzione necessaria “(sottotitolo La persona al centro, per un nuovo modello di società) è in tutte le librerie dal 12 maggio ed è già uno straordinario successo.

RALIAN – Dott. di Montigny, Lei, oltre ad essere Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Officer di Banca Mediolanum, è un importante esponente del panorama letterario contemporaneo. Il Suo ultimo libro dal titolo Gratitudine è stato da poco presentato e, come il fenomeno letterario de Il tempo dei nuovi eroi, è già un bestseller. Qual è il messaggio che il Suo libro vuole dare all’umanità in questo momento così difficile, in cui, a dirla tutta, sembra davvero paradossale poter essere grati per tutto ciò che abbiamo vissuto e per tutto ciò che ci aspetta da qui a qualche anno?

Di Montigny – Può sembrare paradossale solo se limitiamo l’osservazione della realtà alla sua superficie e alla contingenza. In questo caso può sembrarci normale e giusto nutrire risentimento e rabbia per i danni in termini di vite umane e di rallentamento dell’economia che questo nemico invisibile ci ha imprevedibilmente causato. Tanto quanto può sembrare del tutto lecito desiderare di ritornare quanto prima a quella normalità che avevamo prima dell’emergenza sanitaria. Tuttavia, se spostiamo di poco il nostro punto di osservazione e allarghiamo di conseguenza la visuale, abbiamo l’occasione per porci l’unica domanda che oggi come oggi può davvero segnare la svolta. Ma questa normalità che tanto ci manca, è davvero il meglio a cui vogliamo tendere? Se torniamo indietro a pochi mesi orsono giusto per ricordare quale fosse la situazione, ricorderemo che non ci trovavamo propriamente in quel che si dice un idillio: il cambiamento climatico incombeva e, ahinoi incombe tuttora, i sistemi democratici e il concetto stesso di democrazia tremavano poiché messi in discussione da fenomeni dilaganti di populismo, la vita collettiva dimostrava tutte la sue carenze e rigidità dettate da quell’inesorabile tendenza all’individualismo delle società occidentali, il mercato cambiava ad una velocità maggiore della nostra capacità di adattamento, e il tutto risultava schiacciato sotto l’acceleratore dell’innovazione tecnologica che ci teneva soggiogati a tenere il passo con la velocità facendoci perdere di vista l’orientamento verso un obiettivo condiviso per-il-Bene dell’insieme. Dunque, riformulo la domanda: siamo sicuri che è questa la normalità a cui vogliamo tornare, dopo avere testato sulla nostra pelle facendone direttamente l’esperienza, che altri modelli sociali e di pensiero sono possibili? Non è forse questa una nuova, se non l’ultima, occasione che la storia ci pone di fronte per farci cambiare? La storia ci ha messo di fronte alla necessità di adottare alcuni comportamenti impensabili solo alcune settimane fa, abbiamo imparato a lavorare da casa, a rispettare la coda e la distanza, a tutelare gli altri tutelando noi stessi, a osservare i vicini più fragili per offrire supporto. Sembra facile ma facile non è. È un ribaltamento totale di paradigma. È di per sé la più grande rivoluzione in tempi rapidissimi e senza spargimento di sangue che potessimo desiderare. Pensi solo allo smart working, una modello di cui si discute da anni e anni e che probabilmente, in assenza di necessità reale, ne avrebbe richiesti altrettanti prima di entrare in valutazione, figuriamoci per essere adottato in maniera collegiale come è appena accaduto. Twitter, solo per fare un esempio, ha già annunciato che i suoi dipendenti, se lo vogliono, potranno adottare questa modalità per sempre in futuro. Oppure pensi ai dispositivi di protezione, al pensiero e all’attitudine che c’è dietro una semplice mascherina, c’è l’attenzione all’altro, c’è la scelta di salvare l’altro per salvare noi stessi. C’è, come direbbe il mio mentore Patrizio Paoletti, la scelta di decidere che “vita tua è vita mea” a discapito di quel “mors tua, vita mea” che regolava la vita in quella normalità precedente di cui parliamo. Dunque, la mia risposta è sì, abbiamo molte ragioni per essere grati, il prossimo passo per compiere il salto evolutivo sarà quello di riconoscere la gratitudine come bussola che orienti le nostre azioni e i nostri pensieri, e di generarla negli altri avviando un flusso benefico tridimensione che io definisco Economia Sferica.

Ralian. – Lei ha appena affermato che dovremmo passare da egoismi personali e professionali ad una logica di collaborazione, di inclusione, una sorta di “win to win approach” applicato alla vita in tutte le sue sfaccettature. In questo tempo in cui, soprattutto a livello di Unione Europea è prevalso un atteggiamento di my Country first come è possibile invertire la tendenza per un benessere diffuso e duraturo?

di Montigny- Anche in questa dimensione l’evento storico che ci ha coinvolti è un’occasione di cui essere grati perché ci sta indicando, obtorto collo per alcuni paesi, quella che a mio parere era la via già piuttosto lampante anche prima dell’emergenza sanitaria, e cioè quella della coopetition. Analizzando i fatti al di là delle dichiarazioni di pura propaganda politica, i paesi che hanno per primi dovuto attraversare la prova, hanno fatto da modello a quelli dove l’ondata è arrivata dopo. Questo processo si chiama efficientamento e ci dimostra essenzialmente due cose: la prima è che tutti quei muri che ci affannavamo a costruire ancora l’anno scorso e che tenevano banco sui media e nel dibattito pubblico, non servono a nulla, anzi. La seconda è che questo è il momento per rimettere l’essere umano al centro di tutti i sistemi perché alla fin fine il sistema è uno solo: la vita sulla nostra Madre Terra. L’essenza della coopetition, che è l’integrazione tra competizione e cooperazione, è proprio la gratitudine che permette di tenere sempre a fuoco sia l’interesse del singolo sia quello dell’insieme. Provare gratitudine e suscitarla negli altri sarà la via per costruire nuovi e rivoluzionari modelli sociali, culturali e di business centrati sull’essere umano e perciò capace di realizzare una crescita armoniosa, equilibrata e inclusiva.

Ralian – Lei parla di sostenibilità, di recupero della nostra responsabilità rispetto al destino della nostra umanità. In effetti, quest’esperienza del coronavirus ha dimostrato all’essere umano quanto la natura possa addirittura trarre beneficio dalla nostra inattività (vorrei dire assenza). Cosa dobbiamo cambiare del nostro sistema di vita in una logica ispirata alla produzione e al profitto per ritornare ad essere ospiti consapevoli e responsabili del nostro Pianeta?

di Montigny – Proprio così, poiché l’arresto della mobilità e della produttività ha coinvolto a livello globale qualche miliardo di persone, è accaduto che nel mondo i livelli di inquinamento siano calati e stiano calando rapidamente. Nell’Unione europea le emissioni quotidiane si sono ridotte del 58% rispetto a prima della crisi. Negli USA, il governo stima che per il 2020 caleranno del 7,5%. Metropoli come Pechino, Los Angeles o New Delhi non hanno mai avuto nella storia recente un’aria così pulita. Alcuni dei cambiamenti più immediati in Italia sono stati visibili nelle nostre quotidianità. Un esempio su tutti è stata l’acqua dei canali a Venezia che è tornata limpida per via delle barche che da ferme non smuovono il fango dal fondale. Il tema adesso sarà quello di non accontentarci di questi effetti collaterali benefici prodotti da un trauma che ha avuto e avrà un così alto costo sociale ed economico, ma nemmeno lasciare che il dibattito politico e sociale resti focalizzato sulla minimizzazione di questi costi attraverso misure esclusivamente orientate alla ripresa produttiva tout court. Sarebbe un grave errore impostare il dibattito sulle politiche future, perdendoci uno degli aspetti fondamentali. Vorrebbe dire perderci quell’occasione epocale per il cambio di paradigma di cui dicevamo prima e che ci può portare a definire un nuovo modello di economia possibile. Se tutte le società hanno accettato misure senza precedenti come il distanziamento sociale, è auspicabile pensare che i tempi siano quelli giusti per elaborare e maturare sistemi evolutivi dell’attuale modello di sostenibilità competitiva. Produttività, stabilità, equità e ambiente, sono i quattro pilastri su cui fondare ogni comportamento umano, che sia individuale, sociale o produttivo. Dunque, più che della sola sostenibilità, io parlerei di Innovability che è la crasi tra i concetti di innovazione e di sostenibilità.

Ralian – Lei ha anche un ruolo apicale all’interno di un importante istituto bancario. Da letteratura economica il concetto di impresa, di azienda, di profitto si lega indissolubilmente ad un principio edonistico in cui la massimizzazione del risultato da raggiungere è da porsi al centro dell’attività posta in essere. Come è possibile coniugare profitto, attività finanziaria, massimizzazione degli obiettivi economico – finanziari con un approccio di purpose come Lei lo definisce nel Suo libro?

di Montigny – Credo che una delle grandi sfide del nostro futuro sia quella di trovare l’equilibrio tra essere e avere. Ovvero trovare una nuova forma di felicità. Da una parte dobbiamo trovare l’equilibrio tra essere e avere e, dall’altra, ognuno di noi, individualmente, deve trovare l’equilibrio tra ciò che è importante e che ci rende felice e ciò che non serve e che non merita la nostra ansia, perché non è più possibile basarsi solo su indicatori generici imposti dall’alto: quello che vale per te potrebbe non valere per me. Nessuno può dirti che cosa ti renderà felice: lo devi scoprire tu da solo. L’economia dovrebbe essere una disciplina che indaga ciò che è giusto e quindi in quanto tale, dovrebbe guidare la nostra società. Ogni atto che facciamo, ogni acquisto, anche banale, e ogni scelta è un atto economico. Sapersi fare le giuste domande, saper indagare la verità delle cose e saper fare tutti economia nel modo migliore, ogni giorno, è l’unica cosa che ci salverà. Serve stimolare la capacità dell’uomo di dotarsi di nuovi strumenti per vivere meglio e perseguire il bene collettivo.

Ralian – Lei parla di Economia Sferica e di Rivoluzione possibile. Ci può brevemente spiegare in cosa consistono questi concetti e come possono aiutarci in questo periodo in cui le imprese e le persone devono dar fondo a tutto il coraggio, la resilienza, la dinamicità possibili?

di Montigny – Dobbiamo partire dall’economia circolare, nata soprattutto come contrapposizione alla vecchia “economia lineare”, che è fondata su tre obiettivi guida: ridurre, riutilizzare e riciclare. Cioè realizzare lo stesso bene o servizio con un minore consumo di risorse, privilegiando quelle meno impattanti per l’ambiente; impiegare più volte lo stesso bene evitando di consumare materie prime e riducendo gli sprechi e le necessità di smaltirli e infine, quando un bene è arrivato a fine vita, recuperare la materia contenuta e trasformarla in modo da poterla riutilizzare, diminuendo gli smaltimenti e i consumi. In sintesi, l’economia circolare prevede che in tutte le fasi, dalla progettazione, alla produzione, al consumo, fino alla destinazione a fine vita, si limitino gli input di materia ed energia e gli scarti e le perdite, facendo attenzione alla prevenzione delle esternalità ambientali negative e alla realizzazione di nuovo valore sociale sul territorio. Questa tuttavia, è una soluzione d’urgenza che si muove in una dimensione piatta e bidimensionale che domani non basterà più. Credo che in un’ottica di più lungo periodo il concetto di circolarità debba sviluppare una dimensione in più, e passare al piano di economia sferica il cui modello parte dai diciassette Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite nel 2013, i Sustainable Development Goals (SDGs) che sono stati raggruppati nelle cinque “P” di Planet, Peace, People, Partnership e Prosperity, ognuna delle quali si riferisce a un sistema di scelte strategiche declinate in obiettivi nazionali. Nel modello dell’Economia Sferica le P diventano sette. Bisogna aggiungere infatti una specifica attenzione alla dimensione del profitto (Profit), che non va criminalizzato e non va inteso come sinonimo di Prosperity poiché l’una contiene l’altro ma non viceversa, e quella dell’individuo, o meglio ancora della persona (Person), senza la quale nessun vero cambiamento potrà mai essere realizzato. Si arriva così a 7 P, in cui è la P di Person a dare una nuova dimensione a tutto quanto, a fare evolvere il modello dalla circolarità alla sfericità. Un modello che si configura come una crescita non lineare né bidimensionale ma tridimensionale e quindi solida, armoniosa, equilibrata e contemporanea, quindi sferica, dei 17 SDGs. E di cui la gratitudine rappresenta l’energia vitale.

Ralian – Ci può lasciare 3 Golden Words che possono fungere da mantra nelle nostre azioni e, soprattutto, nella ripresa di una vita sociale ed economica che, a tutti gli effetti, sembra esserci stata rubata?

di Montigny – Con piacere, serviranno mente imprenditoriale, cuore sociale e anima ecologica.

 

E’ questo l’approccio che dobbiamo usare per invertire la rotta. In questa ripartenza nessuno deve rimanere indietro e attraverso questo straordinario sistema in cui l’uomo è al centro saremo in grado di coniugare progresso, sviluppo economico, sfericità, inclusione sociale e sostenibilità ambientale. La rivoluzione possibile. Quella vera.

 

Ringraziamo con tutto il cuore il dott. di Montigny per la sua straordinaria disponibilità e per l’iniezione di positività e per la profondità degli argomenti che ha voluto condividere con noi.

Milano è il simbolo della dinamicità dell’economia italiana, il capoluogo della Regione che ha pagato il più alto tributo in quest’emergenza. Stazioneremo qui e, nel prossimo appuntamento,  sempre davanti ad un caffè virtuale, parleremo di economia, logistica, cultura ed arte e lo faremo con un altro straordinario ospite.

A presto!

RALIAN Research & Consultancy srl

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L’impresa culturale e creativa

L’impresa culturale e creativa

Qualche decennio fa investire in un’impresa culturale e creativa era senz’altro la decisione più visionaria che si potesse adottare. Essa era al centro di un ardente dibattito che vedeva come attori principali il mondo politico da una parte e il mondo scientifico dall’altra. La percezione del cosa fosse il comparto dell’industria culturale era assolutamente negativa: un’industria che non ha input reali né altrettanti output tangibili, certamente è un’industria che non produce. In realtà, il frutto dell’intelletto umano, della sua fantasia e del suo particolare estro è una produzione in senso economico a tutti gli effetti. Sarà proprio il mondo politico oltre Manica, attraverso le parole di Tony Blair, allora Primo Ministro inglese, a riconoscere il valore economico dell’industria creativa, attribuendo a quest’ultima la capacità di creare ricchezza e lavoro attraverso l’utilizzo della proprietà intellettuale. Accanto a tale riconoscimento ne nacque un altro, diretta conseguenza del primo: la straordinaria portata creativa ed innovativa insita nelle imprese del comparto culturale di stimolare una spirale virtuosa di crescita in campo economico e sociale. In Italia, alla fine del 2007, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno affermò che “un punto di forza del nostro paese è la cultura della creatività, che deve far considerare grande il potenziale delle nostre imprese e del nostro lavoro”. E’ oltremodo innegabile che la creatività favorisca lo slancio dell’economia e ponga le aziende in una posizione di vantaggio competitivo. Ecco quindi l’esaltazione della portata economica e sociale di un nuovo modo di fare economia che, dopo un decennio circa da queste affermazioni, si manifesta in tutta la sua verità: il valore umano, le persone, la loro formazione e lo sviluppo delle loro conoscenze, costituiscono il reale valore aggiunto di un’impresa.
Possiamo oggi facilmente affermare che l’impresa culturale è in grado di determinare un’inversione di tendenza nel concetto di economia, una sorta di cultural mood, di apprendimento a 360°, di sostenibilità ambientale e sociale, nonché di rivoluzione umana che aggiunge valore e lo distribuisce sul territorio, attraverso le generazioni che crescono in un ambiente con stimoli estremamente elevati ed inclusivi. Si può definire un’ipotesi di umanesimo economico che, pur sembrando una contraddizione in termini, rende perfettamente l’idea del fenomeno: una rete di valori umani posta al centro di un progetto economico di diffusione di bellezza territoriale, culturale, artistica, tecnologica, creativa e, dunque, professionale. Ne consegue che l’industria creativa e culturale è un naturale valore aggiunto per qualsiasi altra impresa del comparto industriale.
In estrema sintesi l’essenza dell’industria creativa e culturale consiste nel trasformare le idee in progetti e, attraverso questi ultimi, modificare le coscienze e le persone, stimolando contemporaneamente la crescita economica e sociale. Si tratta di un output che si raccoglie nel lungo periodo, dopo anni di investimento umano e professionale, che è inequivocabilmente il risultato di una “visione” divenuta realtà, il risultato di un investimento incredibile, una scommessa per molti persa in partenza ma che oggi vince, e che in futuro si affermerà ancor di più perché la bellezza, la cultura, l’uomo e la sua rinascita, il suo essere parte di un ambiente e le sue radici non sono mai fuori moda, non sono mai una tendenza ma una continua scoperta e, si sa, le belle scoperte hanno cambiato l’umanità. Attraverso l’esperienza economica e sociale dell’impresa culturale e creativa abbiamo potuto sperimentare che esiste un solo modo di mettere le ali alle imprese: credere nelle persone e dare valore al loro impegno, dare voce alle loro idee e non aver timore di portare avanti progetti visionari. Le persone sono il vero valore aggiunto di ogni impresa.
La nostra conclusione si fonda sull’osservazione delle dinamiche interne e gestionali di una impresa di ambito culturale/creativo. Infatti, in tale ambito industriale non bastano le sole skills personali e le conoscenze tecniche. La conditio sine qua non che sta alla base del successo e della capacità innovativa di un’impresa culturale è irrinunciabilmente l’ambiente in cui opera, in modo tale che sia incoraggiata la sua visione creativa e, contemporaneamente, un’economia che voglia seriamente investire su di essa. E’ un processo complesso che basa la sua stessa sopravvivenza su una condizione necessaria e sufficiente, identificabile con la coesistenza e la perfetta collaborazione di assets irrinunciabili ed insostituibili in quanto unici, quali le idee, le capacità, la preparazione, la perizia ed il talento, con innovazione tecnologica e cultura. Quest’ultima, è il fattore produttivo in grado di innescare l’intero iter di produzione culturale e creativo attraverso il quale giungere allo sviluppo di nuovi prodotti.
Inoltre l’analisi di un’impresa culturale deve essere esaminata da ciascun tipo di attività potenzialmente erogabile. Se la osserviamo secondo un’ottica di produzione artistica, il potenziale creativo si esprime in tutta la sua imponenza attraverso l’ideazione e la realizzazione di un quid mai realizzato prima, un prodotto unico e autentico, frutto di immaginazione, di stile e di ispirazione. Le ripercussioni economiche ne sono l’immediata conseguenza e si chiudono come in un cerchio perfetto in cui non è più possibile comprendere il suo inizio e la sua fine, proprio perché quell’innovazione instaura un ciclo ininterrotto e dinamico che trova la sua giustificazione economica nell’allocazione più che perfetta di intangible assets unici, tra i quali si possono annoverare l’estro artistico, le innovazioni tecnologiche e i nuovi scenari economici, con la combinazione di fattori umani, sociali, istituzionali e culturali. Ne consegue che la creatività non è “soltanto” l’ispirazione che sottende all’innovazione, ma è uno dei principali ed irrinunciabili fattori che contribuiscono al suo sviluppo. Infatti le idee creative sono indispensabili sia nella fase iniziale sia durante tutto il suo processo di produzione. Da esse nascerà la consistenza economica del progetto, a partire dalla sua creazione, fino alla distribuzione del nuovo output (prodotto, servizio e/o processo) che massimizzi l’utilità del consumatore finale apportandogli il maggior beneficio attraverso il suo acquisto. Tale processo virtuoso produrrà effetti nel lungo periodo.
L’Unione Europea conferisce grande importanza al comparto culturale e attraverso l’articolo 167 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ne sancisce la sua disciplina, stabilendone i principi e il quadro attuale attraverso contenuti sostanziali e procedure decisionali.
Non è un caso, infatti, che nello stesso preambolo del Trattato sull’Unione Europea (TUE) si rimarchi la precisa volontà di ispirarsi «alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa» attraverso l’impegno concreto a rispettare «la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e la vigilanza sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo» (articolo 3 del TUE). Questi principi ispiratori permettono l’introduzione di un’importante novità nell’ambito delle procedure decisionali in seno al Consiglio. In particolare, le decisioni relative agli ambiti culturali (principalmente per quanto riguarda il formato e l’ambito dei programmi di finanziamento) non sono più gravate dal vincolo della procedura di approvazione all’unanimità, come in passato, ma si considerano adottate attraverso l’espressione del voto a maggioranza qualificata. La ratio è da riscontrarsi nel tentativo di favorire uno sviluppo completo delle culture degli Stati membri, pur nel rispetto delle singole diversità nazionali e regionali, al fine di esaltarne il patrimonio culturale comune.
La tutela della cultura trova accoglimento anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, l’articolo 13, recita «le arti e la ricerca scientifica sono libere» e l’articolo 22 stabilisce che «l’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica».
Pertanto non è azzardato concludere che, per l’Unione Europea il settore culturale è uno degli strumenti privilegiati in grado di attuare i più alti obiettivi di prosperità, solidarietà, sicurezza ed internazionalizzazione. Proprio quest’ultima, in particolare, non può realizzarsi al di fuori di un processo di riconoscimento e di contemporanea tutela della diversità culturale e del dialogo interculturale. La cultura, nell’ottica del legislatore comunitario è da intendersi come un vero e proprio acceleratore di creatività e di relazioni internazionali.
Il programma quadro “Europa creativa” dedica 1,46 miliardi di euro al settore culturale e creativo per il periodo 2014-2020. E’ strutturato nel Sottoprogramma Cultura e nel Sottoprogramma MEDIA e in una sezione “transettoriale” che agisce attraverso un fondo di garanzia istituito con la duplice finalità di agevolare da un lato l’accesso al credito per le micro, piccole e medie imprese del settore e dall’altro di consentire una più precisa ed equa valutazione dei rischi in sede di intermediazione finanziaria. Si tratta, più dettagliatamente, di provvedere a creare un ecosistema imprenditoriale e finanziario inclusivo e lungimirante, che valorizzi tutte le enormi potenzialità del settore e, al contempo, rassicuri gli investitori pubblici e/o privati sull’affidabilità e sulla capacità economica del comparto culturale e creativo.
E’ bene sottolineare che proprio in questo mese di dicembre sarà definito l’ammontare del budget a disposizione del settore cultura. Da un lato, indiscrezioni parlano di un ampliamento del plafond messo a disposizione del settore culturale e creativo portandolo ad un incremento pari a circa il doppio di quello previsto nel periodo precedente. Tuttavia, esistono altrettante preoccupazioni circa profondi tagli al settore, come paventato da Sabine Verheyen, presidente della Commissione CULT dell’UE.

Le argomentazioni addotte sinora resterebbero sterili parole se non fossero supportate, come sono, da numeri e statistiche. In particolare, secondo la più recente pubblicazione periodica di Eurostat il settore culturale e creativo quale propulsore di crescita economica:

  • contribuisce per oltre il 2% al Prodotto Interno Lordo europeo;
  • è un’importante fonte occupazionale con più di 8,7 milioni di posti di lavoro al suo attivo, per un valore pari al 3,8% dell’occupazione totale. La conferma di quanto affermato viene proprio dalle imprese definite altamente innovative, le quali posseggono un potenziale economico importante e la possibilità, attraverso canali di finanziamento alternativo ed altamente innovativo (crowfunding, smart finance, business angels), di penetrare il mercato in modo dirompente generando altra occupazione, oltre che stimolare il commercio con l’estero.
  • è un settore dinamico e stimolante in grado di attirare talenti unici e menti “transilienti”. Un melting pop di diversità ed unicità che stimola, affascina, attrae, innova, crea, realizza, riproduce, abbellisce, incanta, monetizza, insegna, eleva. Una variegata costellazione di professionalità che spazia dalle arti “creative, artistiche e d’intrattenimento”, alle “biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali”, nonché dal settore della produzione e programmazione delle attività audiovisive, radiofoniche, cinematografiche, discografiche, al settore delle attività di design specializzate.

Benvenuti in una nuova era, quella in cui fare impresa è questione di cultura.

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